Spirito Giusto

A tu per tu con Renato Capretto

Ricordo bene il primo incontro con Renato Capretto, anche se è avvenuto molti anni fa.

A quei tempi avevo ancora l’enoteca e la domenica pomeriggio molte persone erano solite venire a fare merenda con un tagliere di buoni salumi e formaggi ed un bicchiere di vino. Renato entrò con tre amici, il locale era abbastanza pieno. Li feci accomodare: soliti convenevoli, ordine: un tagliere e una bottiglia di bollicine, credo fosse un Franciacorta Saten.

Renato appartiene a quel genere di persone che incutono simpatia a prima vista.

Come mi capitava spesso con i clienti, ci siamo messi a parlare del più e del meno. La sua spiccata cadenza piemontese era familiare, poiché mi ricordava la gioventù vissuta a Torino. Volle sapere la storia dell’enoteca, con il mio salto di vita da ingegnere a oste, si informò ed apprezzò l’impostazione del locale e la carta dei vini. La simpatia cresceva.

Poi fu il suo turno di raccontarsi. Se ne uscì con un laconico: “Io produco vino nel Monferrato”. Vino? L’attenzione aumenta, approfondiamo il discorso.

Con la sua tipica semplicità, quasi umile, mi racconta che produce diverse tipologie di vini a Grazzano Badoglio e per la maggior parte vende il prodotto sfuso in damigiana o in Bag in Box ed imbottiglia piccoli lotti. A sentirlo così sembra uno dei tanti vignaioli del Monferrato che producono buon vino da tavola, ma non possono interessare il titolare di una enoteca intento a costruire una carta vini basata su bottiglie di alto livello.

Da buon venditore Renato mi informa che ha qualche campione in macchina, se mi interessa me li può lasciare. “Ecco, ci siamo – penso io – adesso mi tocca assaggiare del vino che so già in partenza non essere di mio interesse”. Tuttavia, come si fa a dire di no? Raccomando di non caricarmi di troppe bottiglie e di lasciarmi soltanto i prodotti da lui ritenuti più significativi.

Ritorna con quattro bottiglie: uno Chardonnay, un Sauvignon e due Barbera. Mi illustra i vini: i due bianchi ed il Barbera “base” sono vinificati in acciaio, non vengono quindi “drogati” con passaggi in legno o altre alchimie. Vorrei esprimergli il mio minore interesse per i bianchi, vista la tipologia del locale, ma dalla sua presentazione capisco che tiene molto a che io li assaggi.

 La mia curiosità viene catturata dalla quarta bottiglia, di formato diverso dalle altre, più alta ed allungata. Sull’etichetta campeggia il nome del cru: “Monte Cuchetto, Barbera d’Asti Superiore”. Al contrario delle prime tre bottiglie, che contengono vino dell’anno precedente, il Monte Cuchetto è più vecchio, vendemmia 2003. Gli occhi di Renato si illuminano: mi racconta con passione ed entusiasmo che questo vino è la sua sfida personale. Viene prodotto soltanto nelle annate ritenute degne di nota, i lotti sono piccoli, la ricerca è continua, ogni vendemmia crea esperienza per quella successiva ed il risultato dovrebbe essere ogni volta migliore. Dalla descrizione capisco immediatamente che Renato non è uno che fa il vino “come lo faceva suo padre”, ma è persona preparata in materia ed applica le conoscenze tecnologiche al processo naturale. Anche in vigna la chimica è usata il meno possibile. Si capisce proprio che il vignaiolo è figlio della sua terra!

L’ultima sorpresa viene dai prezzi delle bottiglie, tutti molto bassi. Non ci sarebbero spese di trasporto, perché la consegna viene effettuata direttamente dal produttore.

Renato mi ha molto incuriosito: desidero quindi procedere alla degustazione quanto prima, ma non certo la domenica pomeriggio, sia per mancanza di tempo, sia perché il vino non è a temperatura. Ripongo le bottiglie in cantinetta con l’obiettivo si stapparle nei giorni successivi.

Il pomeriggio passa e viene il momento di salutarci. “Guardi, conosce il (non la!) Malvasia di Casorzo?”, mi chiede Renato. Forse l’ho sentita nominare una volta al corso AIS, ma non voglio rischiare brutte figure. “La produco in versione passita”, continua lui, “la prossima volta che passo le porto una bottiglia da assaggiare”.

Lunedì pomeriggio è il momento migliore per degustare in santa pace. Dopo il “delirio” del fine settimana Arona si presenta deserta. È quasi certo che fino all’ora di cena nessuno entrerà in enoteca.

Comincio con i bianchi, partendo dallo Chardonnay. Vino molto ben fatto, corretto e gradevole, si lascia degustare con piacere facendo venire voglia di riempire di nuovo il bicchiere. Tutte le componenti, acidità, sapidità, alcool e profumi sono al loro posto in un piacevole equilibrio. Definisco questo Chardonnay sorprendente in rapporto al prezzo.

Passiamo al Sauvignon, vitigno che spesso o si odia o si ama. Il naso viene inondato dall’aroma inconfondibile, che in questo vino risulta molto gradevole e bilanciato, senza quegli eccessi che spesso hanno i vini prodotti con questo vitigno. In bocca si conferma il giudizio positivo. La sensazione di buon calore viene bilanciata dalla acidità non pungente, ma ben avvertibile. I profumi percepiti al naso si ritrovano ben distinguibili in bocca e restano con una discreta persistenza. Questo vino nasce con una naturale eleganza che lo rende molto piacevole. Anche questa bottiglia sorprende per l’eccezionale rapporto qualità prezzo.

Bravo Renato, hai creato due vini bianchi piacevolissimi, ideali per chi ama gustare le caratteristiche intrinseche del vitigno senza interferenza di pratiche di cantina esasperate. Ancora una volta si conferma la regola che il buon lavoro in vigna produce uve che non hanno bisogno di aggiunte “chimiche” in fase di vinificazione, aggiunte che, quasi sempre, sono ben evidenti in fase di degustazione.

Avvino ben bene il bicchiere e mi accingo alla degustazione dei rossi.

Il Barbera “base” conferma lo stile seguito per la produzione dei vini già degustati: sono ben percepibili i profumi di frutta rossa tipici dell’uva di partenza (varietali, in termine tecnico), accompagnati dalla vinosità caratteristica dei vini giovani prodotti con Barbera. L’acidità, ben percepibile, ma non invadente, testimonia la volontà di produrre un vino di pronta beva. Dei tre prodotti degustati è quello che mi impressiona meno, probabilmente perché il gusto personale mi porta ad apprezzare vini rossi più complessi e maturi.

Ed ora… a noi due, Monte Cuchetto! Se i primi tre vini erano stati presentati come vini corretti ma semplici, senza particolari pretese, questa bottiglia racchiude lo spirito del suo creatore e ha pretese, che generano, quindi, altrettante aspettative.

Già l’osservazione di come il vino cade nel bicchiere rivela che siamo in presenza di un prodotto ben diverso dai precedenti. Un liquido rosso porpora scuro “fodera” le pareti del calice, tradendo grande consistenza. L’aspetto è bellissimo, quasi cristallino nonostante l’impenetrabilità del colore. Profumi complessi invadono il naso: sono ancora ben percepibili quelli varietali, uniti a sentori speziati e lievemente balsamici. Una nota vanigliata, non invadente, tradisce il passaggio in legno, mentre un che di etereo rivela i 15 gradi alcolici dichiarati (Renato mi ha confessato che in realtà sono quasi 15,5!).

Accosto il bicchiere alla bocca e bevo un piccolo sorso e….devo mettere da parte l’analisi tecnica per far posto a quella emozionale.

Da questo punto di vista, classifico i vini in tre fasce:

  • Vini che “restano in bocca”, nel senso che pur apprezzandone la correttezza tecnica il ricordo si ferma alla sfera sensoriale senza provocare emozioni particolari.
  • Uno scalino sopra ci sono i vini dotati di carattere, che provocano sensazioni che superano il solo aspetto tecnico, per lasciare emozioni legate a quella particolare degustazione.
  • Infine ci sono i vini che “arrivano direttamente al cuore”. Sono pochi, pochissimi. L’aspetto tecnico passa in secondo piano, l’emozione prende il sopravvento e vi pervade lasciando sensazioni indimenticabili. La degustazione coinvolge tutto il corpo e lascia un ricordo indelebile.

Se è vero che l’analisi emozionale non fornisce risultati obiettivi, poiché ciascuno di noi ha gusti e reazioni diverse, è questa valutazione che crea la propria personale classifica. Sono infatti convinto che non esista il vino più buono, ma quello che piace di più!

Come potete immaginare il Monte Cuchetto è arrivato dritto dritto al mio cuore e da allora non lo ha più lasciato!

Torniamo all’analisi più obiettiva. Prima della digressione ero rimasto con un sorso in bocca. Vengo invaso da un trionfo di sensazioni piacevoli. L’acidità ed i tannini contrastano ed equilibrano la morbidezza dei polifenoli ed il calore dell’alcool. Risulta ben percepibile la buona sapidità, che migliora ancora il quadro complessivo. I profumi percepiti in precedenza si tramutano in aromi che invadono il cavo orale, lo foderano di sensazioni piacevoli in un trionfo di complessità e persistenza. Benché il vino abbia già quattro anni, l’acidità lascia intuire una vita ancora lunga. Ottima la persistenza, degna di vini di costo due o tre volte superiore.

Specifico al fine di non essere frainteso: non siamo in presenza di un vino “ruffiano” o “piacione”, cioè nato per piacere, ma senza anima. È una vera Barbera, con il suo carattere inconfondibile, dove però le spigolosità tipiche del vitigno sono armonizzate e fuse in un incredibile equilibrio.

Il Monte Cuchetto è diventato uno dei best seller dell’enoteca e, anno dopo anno, ha creato un numeroso stuolo di appassionati. Ritengo che una delle più appaganti soddisfazioni per un oste sia data dal cliente che ritorna e chiede espressamente “quel vino buonissimo che mi ha proposto l’altra volta. Mi pare che fosse Barbera, non ricordo in nome, ricordo che ha una etichetta bordeaux”!

Nel corso degli anni ho potuto apprezzare lo spirito di Renato, che, vendemmia dopo vendemmia, ha saputo infondere sempre qualcosa di più. Oggi, siamo nel 2022, stappo l’annata 2017 ed ancora mi sorprendo per le emozioni che questo vino è capace di procurarmi!

Un’altra bellissima sorpresa è poi venuta dalla degustazione del famoso Malvasia di Casorzo, un’altra perla del nostro amico Capretto. Il vino è di colore impenetrabile, un nettare che riempie il bicchiere, prima, ed il palato, poi, di profumi e sensazioni piacevolissime. Al contrario di molti vini dolci non è assolutamente stucchevole e, dopo il primo bicchiere, si ha voglia di riempirne un altro per prolungare i momenti di estasi. Incredibile la longevità: oggi beviamo ancora la vendemmia 2006 (duemilasei, non è un errore di stampa!) senza avvertire segni di cedimento. È uno spettacoloso vino da meditazione, come si dice, ma se vi viene un languore provate ad abbinarlo ad un buon tortino caldo al cioccolato!

Mi sono dilungato, spero di non avervi annoiati.

Concludo con una raccomandazione: il Monferrato è una zona bellissima, vale la pena di fare il viaggio.

Quando vi troverete da quelle parti fate un salto a Grazzano Badoglio, Cascina Napoli, per conoscere Renato Capretto: sono certo che vivrete dei bellissimi momenti e mi invierete un pensiero di ringraziamento!

 

 di Stefano Selli